Pomodoro di Puglia: “Per la tutela di produttori e consumatori serve la D.O.P.”

Si è costituito presso la Coldiretti Foggia il Comitato promotore della D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta) ‘Pomodoro di Puglia’ per avanzare la domanda di registrazione Ue che tuteli la produzione e la trasformazione del pomodoro allungato pugliese

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Si è costituito presso la Coldiretti Foggia il Comitato promotore della D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta) ‘Pomodoro di Puglia’ per avanzare la domanda di registrazione Ue che tuteli la produzione e la trasformazione del pomodoro allungato pugliese e per perfezionare l’opposizione formale al MIPAAF avverso il disciplinare di produzione pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 13 marzo scorso per il riconoscimento della IGP ‘Pomodoro Pelato di Napoli’.

“Non è accettabile che venga commercializzato un prodotto che si fregia di un marchio comunitario così fortemente distintivo, senza che ci sia alcun obbligo di utilizzare i pomodori del territorio al quale la indicazione si ispira. Il 40 percento del pomodoro italiano viene proprio dalla Capitanata che da sola produce il 90% del pomodoro lungo”, spiega Pietro Piccioni, delegato confederale di Coldiretti Foggia.

La Puglia detiene la quasi totalità della produzione del pomodoro all’interno di una filiera del Sud Italia, riferisce Coldiretti Foggia sulla base dello studio commissionato all’Università di Foggia, con 15.527.500 quintali di pomodoro da industria su una superficie di 17.170 ettari prodotti in Puglia, mentre in Campania 2.490.080 quintali su una superficie di 3.976 ettari.

La provincia di Foggia è leader indiscussa del mercato e rappresenta il maggiore bacino di produzione nazionale – insiste Coldiretti Foggia – con una superficie media annua di 15.000 ettari e con una produzione di pomodoro da industria che si aggira intorno ai 14.250.000 quintali (1,4 milioni di tonnellate).

Nel caso in questione, con il termine “Pomodoro pelato di Napoli”, come riportato nell’art. 2 del disciplinare – aggiunge Coldiretti Foggia – viene difatti identificato con una conserva di pomodoro indifferenziata dal punto di vista commerciale. Dal punto di vista qualitativo, le uniche caratteristiche del prodotto dichiarate che presentano elementi più restrittivi sono: 3% del peso sgocciolato in meno; 1,5% del residuo ottico in meno; un volume del pomodoro 7% in più rispetto lo standard senza lesioni o deformazioni; 0,7 cmq/100g di residui di bucce in meno, oltre che un 10% in meno presenza di muffe.

Il gruppo di lavoro dell’Università di Foggia, coordinato dal professor Antonio Stasi, ha dimostrato quanto il processo industriale che consente l’ottenimento di un prodotto con tali caratteristiche, di fatto – insiste Coldiretti Foggia – possa essere effettuato in qualsiasi stabilimento di trasformazione e non corrisponde a una qualità premium che può essere facilmente identificata dal consumatore finale.

Seguendo tale logica, risulta debole il legame tra Indicazione Geografica e una data qualità, così come invece richiesto nell’art.5 del Reg. UE 1151/2012. Di fatti, il senso dell’IG sta nella valorizzazione e la promozione di un prodotto al fine di tutelarne la specificità. “Il pomodoro potrebbe provenire da qualsiasi area, definendo nell’art.5 del disciplinare solamente i tempi di stoccaggio massimi, e la qualità del pomodoro in entrata non è identificata da parametri qualitativi più restrittivi che consentano al prodotto finale di avere proprietà organolettiche caratterizzanti, inserendo come unico elemento “la coltivazione seguendo i metodi di lotta integrata o biologica”.

Anche perché il disciplinare identifica come area di produzione le Regioni quali Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise e Puglia. Viste le statistiche delle produzioni, il “Pomodoro pelato di Napoli IGP” includerebbe conserve il cui pomodoro è prodotto per il 90% dei casi nella Regione Puglia”, stigmatizza Piccioni.

Nelle indicazioni geografiche, infatti, l’informazione sulla provenienza geografica – aggiunge lo studio dell’Università di Foggia – costituisce l’elemento fondamentale che consente ai consumatori di identificarli e distinguerli da prodotti concorrenti di diversa area di produzione. Il disciplinare in discussione, utilizzando il nome prescelto, assegna il legame, quindi il meccanismo di identificazione dell’IG esclusivamente con la città di Napoli.

Questo è giustificato descrivendo l’utilizzo nella cucina del pomodoro pelato dal 1700 e dalla presenza della dicitura “Napoli” in alcuni marchi commerciali, con specifica destinazione oltre oceano (art. 6 del disciplinare). Nel caso in questione, la possibilità di identificare con “Napoli” un pomodoro prodotto nella maggior parte dei casi in aree diverse e appartenenti ad altre regioni italiane risulterebbe fuorviante per i consumatori e, contrariamente a quanto voluto nella visione strategica delle indicazioni geografiche e dallo stesso Regolamento, sarebbe a detrimento della reputazione territoriale di Napoli e della Regione Puglia, quando invece il matching perfetto tra prodotto e luogo di origine dovrebbe rappresentare la leva e il valore immateriale da tutelare con la proprietà intellettuale di cui godono le IG.E’ a tutti nota la posizione di Coldiretti Puglia sull’importanza dell’origine del prodotto agricolo alla base dei cibi trasformati che arrivano sulle tavole dei consumatori, per cui numerose sono state le battaglie per arrivare all’etichettatura certa dell’origine dei prodotti agroalimentari.

D.O.P. e I.G.P. sono marchi europei che identificano – spiega Coldiretti Puglia – prodotti che possiedono caratteristiche peculiari, legate da origini storiche al determinato territorio indicato nella denominazione, e dalla accurata e precisa applicazione di un disciplinare di produzione. Di scelta del Ministero delle Politiche Agricole l’area delimitata e la nomenclatura, basate su comprovata ricostruzione storica che i consorzi di valorizzazione devono documentare.

Per i prodotti DOP è previsto che tutto il processo produttivo avvenga nell’area delimitata dal disciplinare di produzione, trasformazione e confezionamento inclusi, mentre per le produzioni IGP, invece, non esistono gli stessi vincoli – conclude Coldiretti Puglia – in particolare nessun obbligo di utilizzare i prodotti agricoli del territorio al quale la IGP si ispira.

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